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Il Problem Solving per Risolvere Problemi da 1 Milione di Euro?

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Nell’articolo precedente abbiamo introdotto le 4 tipologie di problemi che ogni azienda ha e puo’ risolvere con il problem solving. Potete leggere l’articolo a questo link: https://bit.ly/3n88wfc

Ad ognuna delle 4 tipologie di problemi possiamo far corrispondere diverse magnitudo di potenziali danni economici o di opportunità di miglioramento a seconda di come guardiamo l’altra metà del bicchiere…

Mentre i problemi di tipo 1 raramente costano all’azienda cifre sopra al milione di Euro i problemi di tipo 2 invece, molto frequentemente raggiungono questo tipo di grandezza e in certi casi la superano.

Pensate per esempio a un problema di perdite costanti di materia prima da un processo di lavorazione. Se si fanno 3 turni di lavoro e si perdono circa 1500€ in ogni turno di lavoro per 220 giorni lavorativi l’anno si arriva facilmente a circa 1.000.000 di Euro.

Pensate a un’azienda di servizi con moltissimi clienti ma che perde costantemente ogni giorno qualche cliente per ragioni di qualità del servizio o del prodotto….

Come già scritto nell’articolo precedente I problemi di Tipologia 1 richiedono soluzioni veloci di “tipo rimedio” che hanno lo scopo di porre fine immediata a un effetto dannoso.

I problemi di Tipologia 2 invece nascono perchè reagiamo allo scostamento negativo di un risultato o di una performance rispetto a uno standard stabilito o atteso.

La procedura o lo standard stabilito dovrebbe garantire un certo tipo di risultato e invece ci si trova con un risultato che devia.

Quando si scopre questo tipo di situazione ci si mette in una modalità di tipo reattivo rispetto al problema e che richiede l’attivazione di un pensiero di tipo “analitico critico”.

 

Infatti per trovare la soluzione alla deviazione, bisogna analizzare lo standard in uso, fare emergere le sue falle, trovare i rimedi e testarli. 

Avere collaboratori che cercano costantemente le deviazioni dallo standard e sanno attivarsi per risolverle diventa fondamentale per il mantenimento delle performance aziendali.

Avere collaboratori che si attivano è importante ma forse è ancora più importante che trovino nel modo più efficace possibile le soluzioni affinchè i problemi non si ripetano più. 

La tipologia 2 di problema può essere riferita anche ai Key Performance Indicators di tutta l’azienda o di una sua specifica area.

Ci si aspettava una certa produzione, una certa efficienza, uno scarto entro certi parametri, un assenteismo di una certa identità e invece ci troviamo con una deviazione negativa.

I problemi di Tipo 2 a differenza dei problemi di Tipo 1 richiedono sistematicità e metodologia per essere risolti.

Un’indicazione del fatto che un’azienda è ben organizzata per risolvere questo tipo di problemi viene dal fatto che i collaboratori preposti a questa funzione, hanno slots standard di tempo nella loro agenda settimanale, bloccati per lavorare alle soluzioni di questa tipologia di problemi.

Provate a controllare quanti slots di tempo bloccati per lavori di problem-solving ci sono nell’agenda dei vostri collaboratori.

Come già scritto sopra i problemi di tipologia 2 richiedono un approccio metodologico e l’impiego del pensiero “analitico critico”.

 Nell’immagine sottostante avete una rappresentazione grafica dell’approccio metodologico.

STEP 1- Descrivere il problema

La descrizione del problema è una fase fondamentale del processo di problem solving dei problemi di tipo 2.

La corretta descrizione del problema è soprattutto necessaria quando si è in più collaboratori insieme a ragionare sul problema e sulle sue soluzioni.

È necessario che questa attività di descrizione del problema inizi prima dell’effettivo avvio dei lavori di problem solving in team.

Questa attività di preparazione deve sfociare nella preparazione di un documento esaustivo di descrizione del problema.

Per preparare questo documento e definire correttamente il problema bisogna si puo’ rispettare la seguente check list:

  1. Scopo dell’attività di problem solving. Descrivere perchè è necessario risolvere il problema, quali conseguenze si hanno se non si risolve il problema? Quali sono i KPI danneggiati dal problema?

  1. Chiarire il contesto del problema. Descrivere cosa è il problema e definire anche gli elementi importanti che facciano capire cosa non è.

  1. Dichiarare lo standard atteso. I problemi di tipo 2 nascono perché c’è uno scostamento rispetto a uno standard. Quindi nella descrizione del problema è necessario specificare quello che era lo standard di performance che ci si aspettava e si era stabilito.

In molti casi questo standard di riferimento non c’è e quindi bisogna procedere alla definizione di un pseudo standard di performance che ci si aspettava.

  1. Indicare il Gap attuale. Riportare anche in modo grafico le differenze tra la performance problematica e quello che era lo standard atteso.

Se si salta questo step di preparazione e si passa subito a creare un team di lavoro e lo si mette a lavorare subito al problema è inevitabile che si vada incontro a uno spreco enorme di risorse di tempo perso in discussioni e ricerche per allineare tutto il team sulla percezione del problema.

STEP 2 – Scomporre il problema

In questa fase (continuazione della fase 1 precedente) bisogna compiere un’analisi del problema per capire se non sia troppo grande e non richieda in effetti di essere spezzato in problemi più piccoli.

Bisogna evitare di trovarsi in una sessione di lavoro di gruppo dove il problema scelto è in effetti troppo grande. Se succede questo Il gruppo di lavoro può rimanere disorientato perché sente di non poter contribuire efficacemente alla soluzione effettiva del problema.

Un’altra necessità del scomporre il problema in più parti deriva dal fatto che comunque una sessione di lavoro di un team costa molte ore di lavoro e quindi deve essere il più efficace possibile. 

La regola da seguire è quella di spezzare il problema in un numero di parti che possano essere trattate agevolmente nel tempo che si è messo a budget e col numero di risorse e competenze appropriato.

STEP 3 – Stabilire l’obiettivo

Se non c’è un obiettivo non può esserci un problema!

I problemi di tipologia 2 nascono perché uno standard una procedura o una  situazione non vengono soddisfatti secondo i criteri stabiliti.

In questa fase di problem solving si deve stabilire accuratamente quale è la situazione attuale e qual è il risultato preciso che si vuole ottenere.

L’obiettivo non può essere una serie di azioni da fare ma la definizione precisa della nuova condizione che si vuole ottenere.

Una check-list semplice che aiuta a creare obiettivi ben formati è quella che corrisponde all’acronimo S.M.A.R.T.

Specific (Specifico) : L’obiettivo deve essere specifico

Measurable (Misurabile) : L’indicatore di risultato deve essere misurabile.

Assignable (Assegnabile): Le persone designate della soluzione devono essere capaci di contribuire alla soluzione.

Realistic (Realistico): Deve essere raggiungibile con i mezzi dati.

Time (Temporizzato): Deve essere assegnata una data entro la quale raggiungere il risultato.

Stabilire un obiettivo è molto importante anche in funzione della dinamica di Team Building.

Lo stato di team è una condizione che si realizza quando gruppo di persone si unisce e solidarizza per raggiungere un obiettivo.

È chiaro che se l’obiettivo non è ben formato viene a mancare la direzione verso la quale orientare gli sforzi del gruppo di lavoro e questo fa sì che il team non si crei oppure che il gruppo si sfaldi e fallisca il workshop. 

STEP 4 – Ricercare le Cause Radice

In questa fase si analizzano tutte le possibili relazioni di causa ed effetto del problema e si arriva alla definizione della causa o delle cause radice.

Se la soluzione del problema eliminerà la causa radice allora questo non si ripeterà e lo scopo  primario del lavoro di problem solving sarà raggiunto.

Quale metodologia scegliere per l’analisi delle cause radice?

A seconda della complessità del problema e del tempo che si ha a disposizione si possono scegliere diversi strumenti di analisi delle cause radice.

Nel diagramma qui’ sopra potete vedere come al variare della complessità del problema sia necessario utilizzare strumenti di analisi via via più sofisticati.

Nelle fasi 1,2 e 3 del problem solving il Team Leader addetto all’organizzazione delle attività di problem solving, a seconda della complessità del problema sceglierà anche la composizione più appropriata del Team e gli strumenti che il team sarà chiamato ad utilizzare.

Per un approfondimento in merito alle modalità di utilizzo degli strumenti di ricerca delle cause radice rimandiamo alla nostra formazione on-line.

STEP 5 – Trovare ed implementare le soluzioni

In seguito all’individuazione delle cause radice si potrà passare all’elaborazione delle soluzioni/contromisure per eliminare definitivamente il problema.

La NON ripetibilità del problema è come già detto precedentemente l’obiettivo principale del problem solving dei problemi di tipologia 2.

Un problema, anche semplice, nella maggior parte dei casi non ha una sola soluzione che soddisfa al 100% la condizione di non ripetibilità del problema.

Molto spesso, succede che per arrivare all’eliminazione completa della ripetibilità servano più contromisure diverse.

Le contromisure possono essere classificate in 3 categorie:

Amministrative, di Controllo, Prevenzione.

Le soluzioni di tipo Amministrativo, sono quel tipo di soluzioni che implementano maggiori o diversi tipi di controllo o che puntano ad addestrare il personale al fine di impedirgli di compiere errori.

Le soluzioni di Controllo, sono quelle soluzioni che puntano ad installare sensori o allarmi che hanno lo scopo di segnalare e fermare il problema appena questo si manifesta. Una categoria speciale di queste soluzioni sono i cosiddetti sistemi Poka Yoke o sistemi anti errore.

Le soluzioni di Prevenzione, sono quelle soluzioni che puntano al trovare soluzione tecniche e organizzative per correggere alla radice le anomalie di processo che causano il problema.

Valutare le contromisure e programmare la loro implementazione

Alla fine della fase di ricerca delle contromisure ci si può anche trovare con un ampio spettro di possibili soluzioni da implementare.

Ognuna delle soluzioni può contribuire per una certa sua quota percentuale all’eliminazione del problema; in questa situazione il team di lavoro si pone automaticamente la domanda su quale soluzione implementare per prima e in quale ordine temporale.

Per rispondere a questa domanda ci può venire in aiuto la matrice di definizione delle priorità.

Utilizzando dei post-it con su scritta la descrizione della soluzione; il team procede all’assegnazione di ogni soluzione al quadrante più appropriato in base ai criteri di fattibilità e impatto.

Come si puo’ intuire dall’immagine a fianco, al termine di questo processo si avrà una mappa con le priorità di realizzazione delle contromisure.

In base a queste priorità si potrà anche costruire il piano di realizzazione delle attività.

STEP 6 – Verifica dei risultati

Lo step 6 è dedicato alla verifica dell’avvenuto raggiungimento degli obiettivi definiti nello step 3.

Purtroppo vediamo molto spesso che il team di lavoro preposto a fare il follow-up sul raggiungimento dell’obiettivo salta in pieno questo step concettuale e lo sostituisce con una conta delle azioni fatte o non fatte.

Invece di confrontare il prima e il dopo in termini di raggiungimento dell’obiettivo ci si preoccupa solo del controllare che le azioni di miglioramento siano state fatte oppure no.

Purtroppo facendo così si può perdere di vista il senso del lavoro di problem solving e si può  dare l’errata impressione che il lavoro fatto forse non sia servito. 

3 ragioni per eseguire bene lo step 6

Lo step 6 è un momento nel quale si puo’ certificare che l’obiettivo è raggiunto e per questo:

  • Si può celebrare il successo ottenuto e  riconoscere i meriti del team.
  • Si crea più autostima nel gruppo e nell’azienda
  • Si creano le ragioni per le quali continuare ad investire nel processo di problem solving in quanto è conveniente…

Se l’obiettivo non è raggiunto si crea invece la consapevolezza di avere ancora diversi gap da colmare: metodologico, di competenze e di attitudine che una volta colmati possono portare l’azienda al successo duraturo.

STEP 7 – Standardizzare le best practices

Una volta che si è visto che le soluzioni trovate funzionano e impediscono ai problemi di ripresentarsi bisogna far sì che tutta l’azienda ne sia informata e ne tragga beneficio.

Spesso quando si trovano le giuste soluzioni queste non vengono comunicate e formalizzate in modo efficace e questo porta alla dimenticanza e al disuso delle stesse. 

Non è raro imbattersi in problemi di cui si era già trovata la soluzione efficace ma che poi si sono ripresentati perché qualcuno si è progressivamente “voluto” dimenticare dell’esistenza della soluzione.

 

I limiti del problem solving per i problemi di tipologia 2 

Il problem solving che si sviluppa da questa tipologia di problemi è orientato al ritorno allo standard. 

Le attività di problem solving contribuiscono in modo fondamentale a costruire l’importante attitudine mentale vincente della quale, l’azienda che mira al successo duraturo, ha bisogno.

Se questa attitudine NON È ACQUISITA E COLTIVATA COSTANTEMENTE può portare i collaboratori ad una accettazione dello status quo (gli standard esistenti) e a una conseguente mancanza di inventiva per andare oltre l’attuale performance.

Bisogna evitare che l’azienda si addormenti sullo status quo e che accetti in modo passivo che problemi anche gravi siano considerati come elementi di consuetudine.

Affinché questo non succeda è necessario creare delle riunioni/rituali strutturate, nelle quali si discuta dell’andamento degli indicatori di performance dell’area.

Con le indicazione che derivano dalle riunioni strutturate si puo’ determinare il piano di lavoro mirato a riportare nello standard le performances che non lo sono.

In questo secondo articolo dedicato al problem solving abbiamo spiegato i problemi di tipo 2.

Nel prossimo articolo spiegheremo i problemi di tipo 3 e le metodologie necessarie a risolverli.

Mario Mason
Kaizen Coach


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Autore

Mario Mason

Mario Mason è un Kaizen Coach con più di 15 anni d’esperienza nel portare i propri clienti a raggiungere solidi miglioramenti di business performance. La sua preparazione è incentrata sulla profonda conoscenza delle metodologie del Lean Thinking e delle Neuroscienze. Mario è un trainer certificato in PNL (scuola di Richard Bandler) e Neurosemantica (L. Michael Hall). É anche un coach certificato della scuola internazionale di Meta-Coaching.

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